Cosa
resterà delle conquiste sociali di un sessantennio, dal secondo dopoguerra del
‘900 alla fine del primo decennio del terzo millennio?
Ai
tempi dello Statuto Albertino (1848) il Governo dello Stato di Sardegna era
composto da otto ministeri: Esteri, Interni, Guerra e Marina, Finanze,
Giustizia e Affari Ecclesiastici, Lavori pubblici, Agricoltura, Commercio.
Mentre
festeggiamo il 150° dell’Unità d’Italia, nel crepuscolo della seconda
repubblica abbiamo assistito sbigottiti al proliferare di Ministri, al
moltiplicarsi di viceministri, al lievitare inarrestabile di sottosegretari
nominati in ossequio a una moderna simonia laica (vendita di cariche pubbliche);
la marea di personaggi poltronati per ricompensa del cambio di casacca, l’invasione
di soggetti garruli (chiacchieroni) e queruli (questuanti), con relativo
assorbimento di risorse a livello ministeriale, ha fatto da contrappeso alla contrazione
delle prestazioni e alla regressione dei servizi erogati.
Intanto
siamo di fronte alla riduzione delle risorse disponibili e all’aumento dei
bisogni, indotto nella sanità dalle nuove conquiste tecnologiche e dalle nuove
frontiere della medicina.
Eppure
la grammatica istituzionale non può connotarsi essenzialmente nel taglio delle
prestazioni (a carico del bilancio pubblico) scaricate su cittadini e famiglie.
Si può anche insistere sul non voler “mettere le mani in tasca agli italiani”, ma
è chiaro che si creano le condizioni perché gli italiani le “mani in tasca”
siano costretti a metterle da soli, per pagare sul mercato privato la
soddisfazione di bisogni (di tutela della salute) che le pubbliche istituzioni
non garantiscono più. Si possono infatti sopprimere i servizi sanitari, ma non
scompaiono magicamente i bisogni.
Intanto
a livello nazionale, su iniziativa dell’AgeNaS (Agenzia nazionale per i servizi
sanitari regionali, il cui direttore è ora neo-ministro della salute del
Governo Monti) avanza un nuovo modello fondato su tre reti: emergenza-urgenza
(interdisciplinare), ospedali e territorio (distretti).
Per
quanto riguarda la rete ospedaliera, è prevista l’articolazione su tre livelli:
‘hub’ (snodi) per ogni 500.000-1.000.000 di abitanti (sedi DEA - dipartimenti
di emergenza-assistenza - di secondo livello, dotati di tutte le specialità),
‘spoke’ con bacino di utenza compreso tra 150.000 e 300.000 abitanti (con
emergenza-assistenza di primo livello e specialità di media diffusione) e
presidi ospedalieri di base (specialità diffuse e bacino di utenza compreso tra
40.000 e 150.000 abitanti). A questa rete si affiancano poi i Punti di Primo
Intervento e i pronto soccorso per le aree disagiate.
Va
poi garantita l’offerta di funzioni extra-ospedaliere, volta ad assicurare continuità
assistenziale a valenza sanitaria, per esempio ai pazienti fragili non
autosufficienti.
Posto
che i destinatari del servizio sanitario sono i cittadini e il sistema va
incardinato sulla centralità del paziente, l’obiettivo non può che essere il
miglioramento della qualità dell’offerta sanitaria e, quindi delle cure,
coniugate con la sicurezza nell’erogazione dei livelli di assistenza: da questi
presupposti occorre partire per la determinazione del “fabbisogno di salute”
dei bacini di popolazione e del territorio di riferimento.
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