lunedì 13 giugno 2011

La pacchia della prima Repubblica (a spese dei contribuenti)

Che pacchia la “prima Repubblica”! Lavori, soldi, incarichi, progetti e assunzioni “a sfazione”.
E che dire in particolare dei “favolosi anni ‘80”? Gli anni del C.A.F. (acronimo sconosciuto ai più giovani, che indica il trio della spesa allegra: Craxi, Andreotti, Forlani, massimi esponenti della Democrazia Cristiana e del Partito Socialista Italiano, sodali al potere).
Nel traffico vorticoso di spesa pubblica galoppante i Consorzi di bonifica sono uno degli snodi fondamentali: incarichi, progettazioni, esecuzione e manutenzione di opere e impianti. E poi assunzioni (tante, dirette, nominative, veloci e senza concorsi), con stipendi ben al di sopra delle ordinarie retribuzioni dei dipendenti pubblici.
Stato e Regione sono di manica larga e non badano a spese, tanto paga Pantalone. Sono i tempi in cui diversi progetti, oltre a essere redatti con normale carta lucida, paiono stilati talvolta su carta filigranata.
Non tutto, ovviamente, è melmosa palude ‘spendaiola’; chi dirige il traffico sa bene, per antica frequentazione del potere e degli affollati sottoboschi, quale sia il limite della decenza e la soglia fisiologica da non superare per evitare di destar pubblico clamore, allarme o rigetto.
Poi arrivano i duri anni ’90: a tutti i livelli viene presentato il conto (salatissimo) del bilancio pubblico statale allargato, tanto allegramente allargato da aver decuplicato in soli 15 anni il debito pubblico nazionale, passato dai 79 miliardi di euro del 1978 agli 850 del 1992.
E così anche la Regione deve frenarsi, correre velocemente ai ripari e costretta a contrarre mutui ventennali a copertura del buco di 1.203 miliardi di vecchie lire (622 milioni di euro) accertato nel proprio bilancio al 31 dicembre 1992 (a cui si aggiungerà un decennio dopo una nuova esposizione pari a 870 milioni di euro in bond in lingua inglese per i debiti contratti sino al 2000 per la sanità).
Con l’inizio del terzo millennio la musica cambia e gli orchestrali devono utilizzare nuovi spartiti (ché le vecchie spartizioni non sono più ipotizzabili).
In sovrappiù le avvisaglie di nuove crisi di mercato, il ripetersi di avversità naturali e calamità atmosferiche acuiscono le già consistenti difficoltà. Viene messa in discussione la legittimità dell’esazione del tributo per i terreni extra-agricoli (più propriamente ex agricoli) e si smarrisce il rapporto tra tributo, benefici e servizi. Si avvia così la gara a scaricare su altri la propria parte di obolo.
Dopo tanti anni a festa è finita, la polvere artatamente nascosta sotto il tappeto ha ormai avvolto completamente la casa in spessi nuvoloni impenetrabili; ma, soprattutto, non ci sono più soldi.
Che fare? (interrogativo che assillava anche Vladim Ilyich oltre cent’anni fa).
La Regione non può semplicisticamemente “chiamarsi fuori” dalle vicende dei Consorzi, considerato che per decenni è stata compartecipe (attraverso propri rappresentanti) negli organi di gestione e presente nei collegi dei revisori dei conti. In più ha da sempre avuto compiti (ancorché non esercitati) di vigilanza e controllo, anche su bilanci e consuntivi.
Gira e rigira, però, il cerino (e soprattutto il conto) va a finire ai contribuenti, chiamati a pagare la devastazione dei bilanci dei consorzi, propiziata dal turismo politico sui trattori.

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