giovedì 17 marzo 2011

Debiti pubblici, profitti privati, concorrenza sleale

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Quando si parla di servizi pubblici (come ad esempio i servizi sanitari e di cura della persona, oppure i trasporti, l’istruzione, ecc.), un interrogativo sorge spontaneo: come mai i servizi gestiti da strutture pubbliche sono di solito in passivo, mentre gli stessi, se gestiti da privati, producono solitamente utili e profitti? Come mai la stessa “materia” si trasforma in oro o sterco, a seconda dei soggetti che la maneggiano?
Intanto va in premessa ricordato che, al di là del soggetto gestore dei servizi, il carburante che alimenta il motore è per lo più costituito dai soldi pubblici, derivanti dalle imposte fatte pagare ai contribuenti.
Fatto sta che i soldi pubblici, pur partendo dalle stesse tasche (quelle dei contribuenti), se sono indirizzati verso portafogli privati diventano una miniera da sfruttare e una vacca da mungere; se sono incanalati verso casse pubbliche si deprivano e perdono valore.
Certo, sui risultati incide il tipo di gestione. Ma sono solo le modalità di gestione a produrre profitti allettanti o disavanzi strutturali?
Quanto incidono le cosiddette ‘regole del gioco’? Porre in competizione due soggetti con obblighi e regole diverse dà l’idea di una partita truccata, che non può che condurre a risultati differenti.
Se nella sanità il pubblico è obbligato a garantire comunque servizi di pronto soccorso, terapia intensiva, rianimazione, ecc., mentre il privato può comodamente scegliersi le aree a più elevata remuneratività (passando in ogni caso all’incasso dei fondi pubblici per i servizi prescelti) è chiaro che il bilancio finale sarà diverso.
Per giunta il continuo “taglio” di fondi e risorse per i servizi pubblici compromette sempre più la qualità e l’entità dei servizi. La scarsa qualità si trasforma in una profezia che si auto-avvera (sul pubblico destinato a non funzionare).
Nel contempo i servizi delle strutture private beneficiano di consistenti flussi finanziari pubblici e mantengono in generale una buona qualità.
Ma, al di là delle lodi dei cantori, quali e quanti controlli vengono realmente eseguiti prima di sborsare pubblico denaro? Sono effettuati solo a campione? Per il resto basta la fiducia?
Stesso discorso vale per i trasporti e la scuola.
Perché meravigliarsi se, ad esempio, Trenitalia, tenuta a garantire tutta una serie di servizi strutturalmente in passivo, è perennemente in perdita, mentre i privati che stanno per subentrare (vedi NTV, Nuovo Trasporto Viaggiatori, di Montezemolo) possono comodamente decidere di posizionarsi sul segmento “altamente remunerativo” dell’Alta Velocità, peraltro realizzato esclusivamente con i soldi pubblici (e con costi enormemente superiori rispetto alle previsioni, per giunta in deroga alle norme e agli standard europei su appalti e concessione di opere)?
Al di là di una snaturata competitività, la sussidiarietà potrebbe meglio esplicarsi acquistando dal privato i servizi che il pubblico non riesce a erogare (o non riesce a erogare in condizioni di accettabile economicità).
Invece oggi siamo di fronte ad una competitività simulata, falsata da una vera e propria concorrenza sleale (come altrimenti etichettarla se non come “commercio a perdere”?).

1 commento:

  1. Caro Leonardo,
    condivido pienamente quanto da te affermato. Il punto è come fare per diffondere questa verità tra gli elettori a cui quotidianamente da almeno trent'anni viene propinata la menzogna spesso servendosi di volti e voci e luoghi che teoricamente dovrebbero sostenere il contrario e che proprio per questo danno credibilità alla menzogna?

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