7 marzo 2011
Nel precedente intervento abbiamo trattato la questione del costo e del fabbisogno standard, accennando ai criteri di riparto alle Regioni dei fondi statali, ancorati per lo più alla popolazione con oltre 65 anni.
Governo nazionale e Regioni stanno ora discutendo se e come raddrizzare l’albero storto dei fondi trasferiti e inserire nei criteri di riparto anche il cosiddetto ‘indice di deprivazione socio-economica’, ossia la valutazione delle condizioni socio-economiche dei diversi territori.
Altri elementi fondamentali in materia di tutela della salute sono i cosiddetti livelli essenziali di assistenza (LEA) e i livelli essenziali delle prestazioni (LEP), da garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale (rapportandoli alle risorse finanziarie disponibili).
C’è però una parola perennemente presente e sempre associata alla sanità: debiti.
Giornalisticamente parlando non dovrebbe essere una notizia, dato che in questo settore il debito, al pari della fame di Totò, è “atavico”. In Puglia, per esempio, riguarda la Giunta in carica, la precedente, la precedente della precedente, ecc.
Nel 2003, ad esempio, l’allora Assessore regionale (Rocco Palese) stipulò un mutuo, attraverso bond e derivati, per un importo di 870 milioni di euro, a saldo dei debiti della sanità contratti sino al 2000.
Il provvedimento è attualmente oggetto di accertamenti giudiziari in sede penale e contabile (in cui si ipotizza tra l’altro il reato di truffa e danno al pubblico erario), che hanno portato al sequestro di diverse rate semestrali: il mutuo risulta peraltro stipulato con un contratto scritto esclusivamente in inglese, firmato (per loro stessa ammissione) senza che né l’Assessore, né il dirigente del servizio ragioneria capissero un’acca di ciò che andavano a firmare (impegnando le casse della Regione per venti anni).
Secondo la procura della Corte dei Conti, quel provvedimento così congegnato avrebbe prodotto un danno per la Regione pari a 100 milioni di euro.
Nonostante l’atavica scarsità di fondi, la sanità costituisce da sempre anche un’allettante miniera per i “cercatori d’oro” (e di voti).
Taranto (ex ASL TA-1 e “SS. Annunziata”) è finora risultata all’avanguardia in Puglia nella gestione “ballerina” che ha inghiottito enormi risorse, distolte dalla cura della salute.
Secondo la Magistratura, menti astute e diaboliche avevano congegnato un raffinatissimo sistema che faceva impallidire Tangentopoli: non la solita (modesta) percentuale sulle forniture, ma assunzioni e spartizione di considerevoli proventi illeciti derivanti da fatturazione di forniture inesistenti.
Quasi trenta arresti, 27 condanne in primo grado (in gran parte venute meno in appello non per insussistenza delle accuse, ma grazie al provvidenziale accorciamento dei tempi di prescrizione voluto dal Governo) e sequestro di numerosi beni (in ultimo vi è la richiesta di risarcimento danni al pubblico erario, ammontante a 50 milioni di euro, cento miliardi di vecchie lire!).
Altro che cura della salute: sanità dissanguata e depredata.
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