martedì 22 marzo 2011

Medici, burocrati, scribacchini e fiduciari

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Chi per avventura frequenta lo studio di uno medico di base (il medico di famiglia si diceva una volta), si rende conto di trovarsi in una fantozziana fabbrica di “tintura” e timbratura di carte.
La gran parte dei visitatori, infatti, più che richiedere una visita medica o un consiglio terapeutico, è lì per la settimanale-quindicinale fornitura di farmaci.
Orbene, gli ultra-settantenni in Puglia sono circa 550.000: buona parte di essi assume svariati farmaci al giorno. Ad essi si aggiungono altre centinaia di migliaia di ‘cronici’ under-70 (cardiopatici, diabetici, ipertesi, allergici, ecc.). Si perviene così ad una quota consistente di popolazione per la quale la frequentazione dello studio medico rientra tra gli appuntamenti fissi cui non ci si può sottrarre.
Nei mesi invernali, poi, il ricorrente “salto dal medico” diventa una portentosa occasione per beccarsi virus e batteri in studi super-affollati e saturi di bacilli influenzali.
E non è finita: nel caso di patologie più impegnative, vanno “tinte” ancor più carte. Bisogna infatti mettersi dapprima in fila nell’ambulatorio del proprio medico per farsi prescrivere la visita specialistica, prenotarla, recarvisi, fare una nuova fila per altre ore, farsi compilare il piano terapeutico, tornare dal proprio medico (nuova fila) e recarsi poi finalmente in farmacia.
Una maratona infinita, che richiede l’impegno fisso di una persona a ciò addetta.
In questo gioco massacrante dei ‘quattro cantoni’ i medici di base, vittime anch’essi di un meccanismo allucinante, sono costretti a impegnare una parte notevole di tempo per “scribacchiare ricette”, per lo più ripetitive e uguali per anni e anni. Per giunta può loro persino succedere di essere accusati di sforare il budget, per una asserita eccessiva prescrizione ad esempio di farmaci oncologici.
E allora, una domanda sorge spontanea: si può continuare imperterriti a farsi avviluppare da un modello burocratico ossessivamente cartomane, che ingurgita continuamente tempo, impegno e distoglie attenzioni per le visite e le cure vere e proprie?
Posto che il paziente “x” è cronicamente assuntore di “y” farmaci, sarebbe così assurdo ipotizzare che la (più o meno) settimanale provvista dei farmaci fosse compiuta utilizzando la tessera sanitaria, recandosi direttamente in farmacia (salvo, ovviamente, i periodici controlli per la messa a punto della terapia)?
Ecco una piccola, assennata riforma che inciderebbe immediatamente (in positivo) sulla vita quotidiana di centinaia di migliaia di famiglie.
In conclusione due altre osservazioni in merito al rapporto delle ASL con i medici ospedalieri: può ritenersi efficace il sistema di centralizzazione para-sovietica del budget? In altre Regioni vigono sistemi di responsabilizzazione delle strutture periferiche che concorrono, attraverso un confronto, a garantire un migliore e più efficace equilibrio tra risorse disponibili e bisogni da soddisfare.
E, infine, le relazioni tra direttore generale ASL e primari possono estrinsecarsi nell’ambito del mero ‘rapporto fiduciario’, al pari della scelta di un segretario particolare?


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