martedì 7 febbraio 2012

Dopo i tagli, i ri-tagli


Stando alle anticipazioni di un manager dell’Ares Puglia (Agenzia Regionale Sanitaria), dopo i tagli effettuati con il piano di riordino del dicembre 2010, a breve si dovrebbe procedere ad ulteriori soppressioni, quantificabili all’incirca in 800 posti-letto.
A chi toccherà stavolta? La domanda non è peregrina, specie se osserviamo quanto è stato (non omogeneamente) deciso nel dicembre 2010, con l’attenzione calamitata sui singoli ‘orticelli’, senza una visione che avesse un orizzonte capace di superare i singoli campanili.
Orbene appare utile ricordare che nel dicembre 2009 in sede di Conferenza Stato-Regioni era stato fissato uno standard nazionale di 4 posti-letto ospedalieri per ogni mille abitanti. Con il piano di riordino varato nel dicembre 2010 la Puglia riduceva la propria dotazione di 1.246 posti-letto (tutti afferenti le strutture pubbliche), fissando il rapporto a 3,52 posti-letto per mille abitanti. In ossequio al ‘Pollo di Trilussa’ il predetto indice costituiva il dato medio attorno al quale si addensavano valori sensibilmente diversi tra le varie province pugliesi: dai 2,21 per la Bat si passava ai 2,87 per Taranto, ai 3,99 di Bari fino ai 4,37 per Foggia.
Le riduzioni di posti-letto, attestate mediamente a livello regionale intorno all’11 %, si diversificavano notevolmente a livello provinciale, variando dal 7,77% per Bari al 20,49% per Taranto.
Quanto ai drastici tagli effettuati a danno del polo occidentale della provincia di Taranto, la motivazione addotta dalla direzione ASL, secondo la quale sarebbero stati tagli posti non utilizzati, non appare pienamente convincente.
Infatti, prima del piano di riordino il polo ospedaliero occidentale di Castellaneta serviva un bacino di utenza all’incirca di 70.000 abitanti. Con la chiusura dei presidi di Massafra e Mottola la popolazione servita è raddoppiata, addivenendo a circa 130.000 abitanti. Orbene, possono ritenersi sufficienti 104 posti-letto pubblici, ossia 0,83 per ogni mille abitanti, per garantire un adeguato livello di assistenza?
Tornando alla dimensione regionale, ancor più macroscopiche paiono le differenze per la dotazione organica del personale. La tabella ne evidenzia con immediatezza i diversi valori, ascrivibili alle scelte adottate nel 2004 (le successive norme hanno infatti cristallizzato a quella data la ‘spesa storica’ di riferimento fino al 2012).
E l’orizzonte non può dirsi certo sereno. ‘Grazie’ alle diverse manovre ‘cucinate’ da Tremonti nel triennio 2009-2011 per il periodo 2012-214 alla sanità sono state sottratte risorse pari complessivamente a 17,4 miliardi di euro (meno 2,9 per il 2012, meno 6 per il 2013 e meno 8,5 miliardi per il 2014).
Qualche parola va spesa infine per il confronto pubblico-privato. Se concorrenza dev’esserci, perché non realizzarla in condizioni di parità? Un paio di esempi paiono indicare il contrario.
L’apprestamento di servizi che comportano costi elevatissimi (guardia medica cardiologica, guardia medica anestesiologica, servizi di emergenza-urgenza) è obbligatorio solo per le strutture pubbliche.
Di converso, se alle struttura private si corrispondono somme maggiori per i parti cesarei rispetto a quelli naturali, perché meravigliarsi se in queste strutture la percentuale dei cesarei sia mediamente molto più alta (praticamente il doppio) rispetto a quella registrata nelle strutture pubbliche?

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