Stando alle
anticipazioni di un manager dell’Ares Puglia (Agenzia Regionale Sanitaria), dopo
i tagli effettuati con il piano di riordino del dicembre 2010, a breve si
dovrebbe procedere ad ulteriori soppressioni, quantificabili all’incirca in 800
posti-letto.
A chi
toccherà stavolta? La domanda non è peregrina, specie se osserviamo quanto è
stato (non omogeneamente) deciso nel dicembre 2010, con l’attenzione calamitata
sui singoli ‘orticelli’, senza una visione che avesse un orizzonte capace di
superare i singoli campanili.
Orbene
appare utile ricordare che nel dicembre 2009 in sede di Conferenza Stato-Regioni era
stato fissato uno standard nazionale di 4 posti-letto ospedalieri per ogni
mille abitanti. Con il piano di riordino varato nel dicembre 2010 la Puglia riduceva
la propria dotazione di 1.246 posti-letto (tutti afferenti le strutture
pubbliche), fissando il rapporto a 3,52 posti-letto per mille abitanti. In
ossequio al ‘Pollo di Trilussa’ il predetto indice costituiva il dato medio
attorno al quale si addensavano valori sensibilmente diversi tra le varie
province pugliesi: dai 2,21 per la Bat si passava ai 2,87 per Taranto, ai 3,99
di Bari fino ai 4,37 per Foggia.
Le
riduzioni di posti-letto, attestate mediamente a livello regionale intorno
all’11 %, si diversificavano notevolmente a livello provinciale, variando dal
7,77% per Bari al 20,49% per Taranto.
Quanto ai
drastici tagli effettuati a danno del polo occidentale della provincia di
Taranto, la motivazione addotta dalla direzione ASL, secondo la quale sarebbero
stati tagli posti non utilizzati, non appare pienamente convincente.
Infatti, prima
del piano di riordino il polo ospedaliero occidentale di Castellaneta serviva
un bacino di utenza all’incirca di 70.000 abitanti. Con la chiusura dei presidi
di Massafra e Mottola la popolazione servita è raddoppiata, addivenendo a circa
130.000 abitanti. Orbene, possono ritenersi sufficienti 104 posti-letto pubblici,
ossia 0,83 per ogni mille abitanti, per garantire un adeguato livello di
assistenza?
Tornando
alla dimensione regionale, ancor più macroscopiche paiono le differenze per la
dotazione organica del personale. La tabella ne evidenzia con immediatezza i
diversi valori, ascrivibili alle scelte adottate nel 2004 (le successive norme
hanno infatti cristallizzato a quella data la ‘spesa storica’ di riferimento
fino al 2012).
E
l’orizzonte non può dirsi certo sereno. ‘Grazie’ alle diverse manovre
‘cucinate’ da Tremonti nel triennio 2009-2011 per il periodo 2012-214 alla
sanità sono state sottratte risorse pari complessivamente a 17,4 miliardi di
euro (meno 2,9 per il 2012, meno 6 per il 2013 e meno 8,5 miliardi per il
2014).
Qualche
parola va spesa infine per il confronto pubblico-privato. Se concorrenza
dev’esserci, perché non realizzarla in condizioni di parità? Un paio di esempi
paiono indicare il contrario.
L’apprestamento
di servizi che comportano costi elevatissimi (guardia medica cardiologica,
guardia medica anestesiologica, servizi di emergenza-urgenza) è obbligatorio solo
per le strutture pubbliche.
Di
converso, se alle struttura private si corrispondono somme maggiori per i parti
cesarei rispetto a quelli naturali, perché meravigliarsi se in queste strutture
la percentuale dei cesarei sia mediamente molto più alta (praticamente il
doppio) rispetto a quella registrata nelle strutture pubbliche?
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